La prima ondata dell’emergenza Covid ha rappresentato uno dei momenti emotivamente più intensi della mia vita. Da un lato, ho avuto la fortuna di non vivere dei lutti nella cerchia dei familiari più stretti; dall’altro, conoscendo così tante persone, ho ricevuto innumerevoli richieste d’aiuto – per una bombola d’ossigeno, delle mascherine, un posto letto in ospedale, un’ambulanza – tutte cose che in quelle settimane scarseggiavano e che mi hanno a volte fatto sentire impotente di fronte alla tragedia. A Bergamo e in particolare in Valle Seriana sono stato reso partecipe di una quantità enorme di lutti che sono stati davvero difficili da affrontare.
Di fronte a tutto questo, nel maggio 2020 abbiamo deciso di proporre l’istituzione di una commissione d’inchiesta che provasse ad approfondire il funzionamento e la risposta del sistema sanitario in una situazione che non aveva precedenti. Senza pregiudizi, per andare a caccia non dei colpevoli ma degli errori, per far sì che il sistema potesse essere più pronto qualora ci fossimo ritrovati in una situazione simile. E poi per rispondere ad una domanda di verità e giustizia che montava a quell’epoca tra tutti noi, ancora sconvolti dalle migliaia di morti avvenute in così poche settimane.
Alla prova dei fatti, la commissione d’inchiesta – i cui lavori sono effettivamente iniziati nell’autunno 2020 – è stata ostacolata in ogni modo. La maggioranza regionale ha fin da subito percepito questo lavoro come un pericolo per la propria reputazione, più che come un’opportunità per imparare dagli errori commessi. Hanno ritardato di quattro mesi l’inizio dei lavori, non ci hanno fornito più della metà dei documenti richiesti per analizzare le scelte e gli avvenimenti, hanno secretato i lavori per impedire di parlarne per un anno, hanno ristretto l’oggetto dell’indagine alla sola prima ondata per non affrontare i problemi organizzativi della seconda e della terza, hanno cercato di screditare le poche voci dissonanti tra le persone che abbiamo audito e che non fossero direttamente nominate dalla Giunta.
Il tutto per far passare la cosiddetta “teoria dello tsunami”, quella per cui nulla poteva essere fatto di meglio o di diverso, tanto da far dire più volte al Presidente Fontana “rifarei tutto”, un’affermazione di un’arroganza imperdonabile.
Ciò nonostante, i lavori della commissione sono stati per me estremamente formativi e comunque utili a capire. Capire con un livello di dettaglio maggiore quello che era successo – dall’ospedale di Alzano al fatto che non si facevano tamponi e tracciamento, dalle scorte di DPI mancanti alle scelte sugli ospedali in Fiera, dal rapporto con il governo fino alla commistione tra politica e dirigenti sanitari, dalla medicina di territorio – grande assente del sistema lombardo – al ruolo della sanità privata – capire cosa si è completamente sbagliato, capire come funziona davvero il nostro sistema sanitario e cosa si deve fare per migliorarlo.
La commissione d’inchiesta si è conclusa con una relazione, sottoscritta da tutti i colleghi di minoranza che hanno partecipato ai lavori, di cui sono stato il primo firmatario e relatore in aula, che trovate in versione integrale a questo link: visualizza la relazione.