Il Diario della riforma sanitaria 2021

Giorno 01

Premessa: se si arriva oggi a parlarne è innanzitutto perché l’attuale legge sanitaria è “scaduta” l’anno scorso: nel 2015, infatti, la riforma Maroni aveva degli aspetti di possibile incostituzionalità e l’accordo con il Governo di allora fu quello di farla diventare una sperimentazione di 5 anni, al termine della quale si sarebbe dovuto valutare il da farsi. Ed eccoci qua.
Nel dicembre 2020 il Ministero invia una valutazione molto dettagliata su questi cinque anni e su tutti i problemi del sistema lombardo – con alcune prescrizioni obbligatorie ed altri consigli per migliorare. Di tutto questo vi parlo da domani, quando il dibattito entra nel vivo.
Ma la nota del primo giorno è che la maggioranza non ha cambiato il disco. Il relatore Monti (Lega) presenta la riforma e dice: “200.000 persone vengono a curarsi in Lombardia e questo dimostra che il sistema funziona”.
No! Questo dimostra che è meglio fare in Lombardia che, ad esempio, in Basilicata un intervento di cardiochirurgia pediatrica o per un aneurisma celebrale, ma il sistema non si esaurisce con i soli interventi chirurgici di eccellenza.
E’ proprio questa filosofia che ha portato all’abbandono della sanità territoriale. E’ proprio questa filosofia che non investe personale e risorse nella riduzione delle liste d’attesa, nella presenza capillare delle strutture sanitarie, in tutte quelle prestazioni che non sono di eccellenza, che non vengono pagate tanti soldi ma che sono quotidiane e fondamentali per le persone!

Giorno 02

Vi dicevo ieri di una relazione molto approfondita che il Ministero – o meglio Agenas – Agenzia per i Servizi Sanitari Regionali, un organo tecnico-scientifico che supporta il Ministero – ha inviato alla Regione nel dicembre 2020 e che contiene i principali elementi critici del sistema sanitario lombardo.
Uno di questi, cito dalla relazione, è che “l’assenza di un solido raccordo organizzativo tra ospedale e territorio comporta fenomeni di non appropriatezza nel percorso di presa in carico, soprattutto dei pazienti più fragili”.
Tradotto: ci sono le ASST che dovrebbero occuparsi di governare tutto quello che succede dentro gli ospedali ma anche tutto quello che sta fuori. I direttori generali però se ne occupano poco o nulla, non hanno una cultura sanitaria territoriale che metta la prevenzione, le cure primarie e la vicinanza ai territori in cima alle priorità. E lo abbiamo toccato con mano ascoltandoli nella Commissione d’inchiesta sull’emergenza Covid.
Servirebbero 500 Case della Comunità in Lombardia e servirebbe metterci dentro il personale, facendo delle scelte. 500 nuovi presidi territoriali che riducano gli accessi al Pronto Soccorso e rappresentino un punto di riferimento per le persone, più vicino all’ospedale.
La cosa bella è che ci sono i soldi del PNRR per farne così tante. Ma la Giunta regionale ne ha previsti meno della metà.
Perchè se non c’è la mentalità, se non c’è la testa, non bastano neanche i soldi.

Giorno 03

Mettiamo i piedi nel piatto, il rapporto tra pubblico e privato. Dunque, io credo che un servizio, per essere pubblico, non debba per forza essere erogato dallo Stato, dalla Regione o da un Comune. Un servizio, per essere pubblico, deve essere accessibile a tutti, deve essere alla portata di tutti.
Il problema è che in Lombardia il servizio sanitario non ha più queste caratteristiche. Quando tu non hai alternativa tra il pagare – a volte molti soldi – e il tenerti il tuo male, significa che il sistema è deragliato. Non è più alla portata di tutti. E questo, in Lombardia, accade di continuo. Per una parte di cittadini, in una regione ricca, questo non è un problema insormontabile. Ma per tutti gli altri?
Ok, e cosa c’entra il rapporto pubblico-privato? C’entra nella misura in cui il sistema, dal 1997 con la prima riforma Formigoni e poi con le scelte dei vent’anni successivi, è stato costruito per esaltare le possibilità di guadagno di alcune strutture private su alcune specifiche prestazioni, che attraggono pazienti da tutto il mondo e rendono tantissimo. A scapito però degli investimenti nella cura diffusa, basica, territoriale della maggioranza delle persone.
Se una volta, dalle mutue in poi, il privato – e ancora oggi tanta parte di quello che si chiama “privato sociale” – offriva una risposta solidale a chi non poteva permettersi altro, oggi il sistema è finito per ruotare innanzitutto attorno all’esigenza di massimizzare il profitto.
Noi non chiediamo la luna. Pretendiamo però che in ogni territorio pubblico e privato facciano innanzitutto ciò che serve, sulla base di un’analisi dei bisogni e di una programmazione dei servizi che li soddisfi. Non per fare innanzitutto ciò che rende, non per scegliere i pazienti e le prestazioni sulla base di ciò che è più remunerativo.
Nella riforma c’è una sola riga che migliori questa situazione? Purtroppo no. Ed è per questo che siamo qui.

Giorno 05

Oggi una piccola nota politica. Io non credo che Fontana e la Moratti non conoscano i problemi del sistema sanitario. Credo però che affrontarli comporti una fatica – non fisica, ma politica – che loro non vogliono fare.
Cambiare significa ammettere che non va tutto bene, significa abbandonare il racconto dell’eccellenza su cui è stato costruito il posizionamento politico del centrodestra per 25 anni.
Più ascolto gli interventi e più mi rendo conto che loro sono incastrati in quel racconto – “va tutto bene, avanti così” – e non riescono a cambiare neanche di fronte all’evidenza, non vogliono assumersi la responsabilità di cambiare e affrontare le conseguenze.
Il problema è che tutti i cittadini sono vittime di questo incantesimo che se non si è rotto nemmeno di fronte alla pandemia, potrà rompersi soltanto con il voto. E oggi, qui, per migliorare si può solo cambiare.

Giorno 06

Quando un sistema sanitario segue una logica di mercato, le prime ad essere penalizzate sono le zone più periferiche. Si rompe un ecografo? Non viene sostituito. Va in pensione un cardiologo? Non viene rimpiazzato. Perché? Perché non è economicamente conveniente.
Medici e specialisti non vengono incentivati né in termini economici né di carriera a coprire le aree rimaste scoperte. Perchè? Perché non è economicamente conveniente.
E così facendo, cosa ci si può aspettare se non l’impoverimento dei reparti e degli ospedali più periferici e lo spopolamento dei territori rimasti senza servizi?
Quando sentite la Lega parlare di montagna, chiedetegli di Piario, di Lovere, di San Giovanni Bianco. Chiedetegli di come alle parole non seguano mai i fatti. Io lo farò domani, dalle 10, nel mio intervento in aula.

Giorno 07

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Giorno 08

C’è un ambito che mi sta particolarmente a cuore ed è quello della neuropsichiatria infantile, che ha sofferto ancora di più l’ultimo anno e mezzo di socialità interrotta, con un aumento dei casi più gravi, di quei disturbi mentali e depressivi che portano fino ai tentativi di suicidio nei minori.
Ma il problema è ancora più diffuso per i casi più lievi, per quei disturbi dell’apprendimento che si manifestano da bambini e possono essere affrontati per tempo, con l’impegno della scuola e della famiglia, evitare che ostacolino il percorso scolastico e non abbiano così ricadute emotive e comportamentali più gravi.
Se nel primo caso mancano posti letto nei reparti, comunità terapeutiche e servizi territoriali per evitare il più possibile i ricoveri, nel secondo i tempi per una valutazione sono spesso estremamente lunghi e non consentono una presa in carico precoce. Mancano innanzitutto i professionisti formati – e quelli che ci sono devono fare i salti mortali.
E’ un tema che riguarda oltre il 10% dei bambini e delle bambine e le loro famiglie. Abbiamo proposto un piano di investimenti specifico per la salute mentale in ambito minorile, perché una nuova attenzione in questo campo sarebbe sì una vera riforma.

Giorno 09

Una mia collega di maggioranza dice: “Garantire la libertà di scelta del cittadino tra strutture pubbliche e private è il fine ultimo del sistema sanitario”. Ora, va bene tutto, ma il fine ultimo è curare la gente nella maniera migliore. Tutto il resto è un mezzo, non il fine.
Ieri L’Eco di Bergamo ha pubblicato alcuni dati sul rapporto tra prestazioni ambulatoriali erogate dalle strutture sanitarie private e il volume economico generato. Di fatto, con il 43% delle prestazioni arrivano il 53% dei soldi.
Ora, il problema non è che le strutture private incassino più risorse di quelle pubbliche. Il problema è che questo avviene perché si concentrano strumenti e personale su alcune prestazioni – che rendono più soldi – e così facendo si lasciano sguarnite altre prestazioni, con liste d’attesa paurose.
Questa cosa si risolve con un governo più forte dell’offerta sanitaria. Chi definisce le regole e in fin dei conti mette i soldi – la Regione – deve essere forte nel momento in cui si decidono gli accreditamenti e le tipologie di prestazioni che vanno erogate su ogni territorio. Altrimenti è una giungla, dove a prevalere non è l’analisi dei bisogni ma solo la convenienza economica. Che sia questo il fine ultimo che intendeva la mia collega?

Giorno 11

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Giorno 12 e 12 bis

Nel 2018 la Giunta decide di chiudere il punto nascita di Piario per poter garantire gli standard – in particolare riguardo al personale – per quello di Alzano. Una scelta territorialmente senza senso, perché Alzano aveva già un numero di parti annui inferiore al limite (1000) ma essendo molto vicino ad altri due punti nascita – Bergamo e Seriate – non poteva ottenere una deroga, riservata ai presidi montani. Risultato: passano due anni e chiude anche Alzano.
Ma c’è di più. Dopo la chiusura di Piario viene approvata una delibera che prevede investimenti sull’ospedale nel breve e nel medio periodo: nuovo personale, più prestazioni ambulatoriali, centro per i disturbi del comportamento alimentare, nuova risonanza magnetica.
Sono passati tre anni e quel piano di miglioramento è rimasto largamente inattuato. E il tutto è inqualificabile e imbarazzante.
Tra pochi giorni si voterà la riforma sanitaria e tra le tante proposte ce n’è anche una semplice: riaprire il punto nascita di Piario, il pronto soccorso pediatrico H24 – per le giovani famiglie e i turisti che vogliono vivere l’Alta Valle Seriana – e rispettare quanto previsto in quella delibera entro la fine di quest’anno. Per passare, finalmente, dalle parole ai fatti.


Secondo le indicazioni nazionali, di Case della Comunità nelle zone montane ce ne dovrebbe essere una ogni 10/15 mila abitanti. Eppure, nell’Alto Sebino, che di abitanti ne ha 30mila, se ne prevede una sola. E sull’ospedale di Lovere, che ha bisogno di essere ristrutturato, non c’è un solo euro dei 110 milioni che vengono stanziati per l’edilizia ospedaliera in provincia di Bergamo grazie al PNRR.
Siamo qui a parlarne, da due settimane e oggi fino alle 24, perché se non lo avessimo fatto tutte queste cose sarebbero semplicemente passate sotto silenzio. Quello che possiamo fare, invece, è alzare i riflettori su una riforma che rischia di essere una gigantesca occasione persa.

Giorno 13

Come nel Re Lear di Shakespeare ci sono due figlie, Goneril e Regan, che si sperticano nelle lodi al padre pur di ottenerne l’eredità, e accanto a loro c’è Cordelia, la figlia più piccola, che invece si limita a dire la verità, così in Consiglio regionale abbiamo una parte che racconta una storia con l’obiettivo di compiacersi, anche se falsa, e un’altra che sta cercando di far emergere quello che fuori di qui è reale.
Lo ha ricordato Pietro Bussolati nell’incipit del suo intervento, molto bello e ricco di spunti interessanti sui medici di base, i distretti, le liste d’attesa, su tutti quei cambiamenti che vorremmo per la sanità nella nostra regione.
Ok, ok, siamo arrivati a Shakespeare anche perché siamo un po’ cotti, ma oggi si chiude la tredicesima seduta di Consiglio consecutiva e torneremo in aula domenica per continuare a fare la nostra parte per una sanità diversa. Dopotutto Cordelia, quella che dice la verità, alla fine vince.

Giorno 14

Si è discusso – troppo poco – di dove posizionare le nuove “case della comunità”, ma non si è discusso per nulla di cosa ci deve andare dentro, di come possono rappresentare un reale miglioramento dei servizi offerti alle persone nei territori.
Sarebbe interessante che oltre ai medici clinici, agli infermieri e alle professionalità previste dalle indicazioni nazionali, si coinvolgessero anche medici, biologi e tecnici di laboratorio per installare e gestire nelle strutture i cosiddetti Point Of Care Testing (POCT). Cosa sono?
Strumenti compatti che permettono di eseguire differenti tipologie di test – emocromo, glicemia, coagulazione, emogasanalisi, chimica clinica, urine, microbiologia – e che possono essere portati a domicilio o in prossimità dei pazienti per analizzare i campioni sul posto, con un supporto da parte di personale competente da remoto, per mettere a disposizione dei medici risultati di analisi in tempo reale e permettendo di prendere così le decisioni più appropriate ed immediate sulle terapie.
Me ne hanno parlato per la prima volta Anna Carobbio e Valentina Moioli, due persone appassionate del proprio lavoro e dell’idea che in questo momento ci sia l’occasione per unire innovazione tecnologica e vicinanza alle persone. Speriamo si possa concretizzare al più presto!

Giorno 15

Dopo 110 ore di dibattito, è il momento del voto.
942 emendamenti, con modifiche puntuali al testo della legge, e 929 ordini del giorno – ovvero impegni per la Giunta regionale.
Nessun intervento oggi dalla maggioranza, nemmeno presente l’assessore Moratti. Finora tutto o quasi bocciato, anche il taglio del ticket regionale sui farmaci che è una tassa da 255 milioni di euro che non ha eguali in nessuna regione italiana. Vi aggiorno domani sull’esito finale.

Giorno 16

La questione è semplice: da una riforma ci si aspetta che produca un cambiamento.
Ma con l’approvazione di questa legge, da domani e nei prossimi mesi, sarà più semplice prenotare una visita o un esame? Ci saranno meno code al pronto soccorso? Si percepirà una riduzione delle liste d’attesa? Avremo più chiarezza nei ruoli tra ATS e ASST? Sarà tagliato il ticket regionale sui farmaci? Le strutture pubbliche e private saranno ricondotte ad una programmazione dei servizi più funzionale ai bisogni delle persone?
La risposta a tutte queste domande è negativa. Ed è il motivo per cui questa non è una riforma.
La giornata finale di questa maratona conferma una maggioranza sulla difensiva. Tu parli delle liste d’attesa, del territorio, della prevenzione. Loro ti rispondono che Rocco Casalino è venuto a farsi operare qui.
Ok, va beh… La giornata finale di questa maratona non è in realtà che l’inizio di un percorso. Che da dentro il Consiglio si sposta fuori e guarda alle prossime elezioni. Perché non ci sarà nessun cambiamento positivo senza cambiare chi ci governa.