Montagna
Negli ultimi 10 anni le valli della Lombardia hanno conosciuto un destino comune. Proprio mentre una parte del tessuto produttivo andava in crisi, riducendo il numero delle aziende e posti di lavoro.
Negli ultimi dieci anni, le valli della Lombardia hanno conosciuto un destino comune: mentre una parte del tessuto produttivo andava in crisi, riducendo il numero delle aziende e dei posti di lavoro disponibili, nel nome del risparmio e dell’efficienza anche il settore pubblico riduceva la sua presenza, chiudendo scuole, ospedali, tribunali, uffici pubblici… Il risultato non poteva che essere lo spopolamento: sempre meno persone giovani che restano, sempre meno che vengono da fuori a vivere e lavorare.
I prossimi dieci anni devono essere quelli del rilancio. Non chiediamo di riversare nelle valli soldi senza progettualità, ma di mettere in condizione la montagna di produrre ricchezza. In tutti gli ambiti: dall’industria, che rappresenta una “diga” occupazionale contro lo spopolamento – al turismo – sci, trekking, enogastronomia, itinerari a piedi e in bicicletta, valorizzazione dei parchi e dei borghi storici; dal settore delle costruzioni – su cui lavorare con una fiscalità di vantaggio per riqualificare il patrimonio sfitto e dismesso – a tutti i servizi pubblici e privati.
All’interno di una stessa provincia, le differenze nella quantità e nella qualità dei servizi erogati alla persone sono enormi. In particolare nelle valli, nel corso degli ultimi dieci anni, c’è stata una desertificazione dei servizi pubblici che non sembra arrestarsi.
Ma se non si fissano livelli minimi essenziali che valgano per ambiti omogenei, che stabiliscano come in ognuna delle 100 zone di cui è fatta la Lombardia ci debbano essere scuole e servizi sanitari all’altezza, allora non possiamo pretendere che qualcuno ci resti a vivere, in quelle zone. Ci sono cose che devono essere garantite per tutti, indipendentemente da dove si abita, indipendentemente dai numeri e da quanto costa. Punto.
Ogni anno Regione Lombardia incassa più di 60 milioni di euro dai canoni del demanio idrico. Sono le tasse pagate per l’utilizzo dell’acqua, dalle piccole derivazioni alle grandi centrali idroelettriche. Dal 2009 i canoni versati a Sondrio restano in provincia di Sondrio – e sono più di 18 milioni di euro – mentre quelli versati dalle nostre valli finivano a Milano. Dopo una lunga battaglia, nel 2020 siamo riusciti a portare all’80% la quota di questi canoni destinata ai territori montani.
Ora serve recuperare in fretta i canoni dovuti dalla prosecuzione in proroga delle concessioni scadute e andare a rinnovarle pretendendo dai concessionari più investimenti e più occupazione. Con quei soldi si possono realizzare strade, tramvie, connessioni internet veloci; sostenere gli artigiani e le imprese del territorio; ampliare l’offerta turistica e culturale; dare lavoro ai nostri giovani e servizi migliori alle famiglie che desiderano ostinatamente rimanere a vivere e lavorare in montagna.
Non solo, oggi abbiamo un’occasione unica con le risorse destinati all’Italia dal piano europeo Next Generation EU: devono servire anche a ridurre il ritardo infrastrutturale accumulato da decenni nelle valli. Perché la mobilità è un fattore di sviluppo per qualsiasi territorio, ma per quelli più periferici è questione di sopravvivenza.
Fare impresa nelle valli è spesso più complicato e più costoso che non nelle zone più abitate e meglio servite da infrastrutture e servizi. Se vogliamo che anche in quei territori si possa sviluppare un’imprenditoria diffusa – dalla manifattura al commercio, dalla cultura al turismo – bisogna immaginare una fiscalità di vantaggio che consenta di riequilibrare quelle difficoltà. Ad esempio, prevedendo che gli sgravi contributivi del “Bonus Sud” vengano applicati anche alle aree montane della Lombardia: 30% di contributi in meno per dieci anni per ogni nuovo assunto, 100% per tre anni se sono giovani o donne. Ancora, rendendo strutturale il bonus fiscale del 110% sulle riqualificazioni edilizie per le sole aree montane, dando così la possibilità di ristrutturare l’enorme patrimonio immobiliare – abitazioni private, ma anche fabbriche dismesse, edifici storici con potenzialità – e di rilanciare un settore che dopo la crisi del 2008 aveva perso quasi metà dei propri addetti.
Se la tecnologia consente ad una fetta di lavoratori di lavorare vicino a casa, perché non farlo dove la qualità della vita può essere ancora più alta?
Lo smart working può ridurre il pendolarismo e consentire a chi nasce in montagna di continuare a viverci, e ad altri ancora di venire a farlo. Servono spazi dedicati – perché la soluzione non è chiudersi in casa e lavorare da soli, tutto il giorno tutti i giorni, connessioni veloci e una cultura aziendale flessibile. Lavoriamoci.
Negli ultimi 10 anni le valli della Lombardia hanno conosciuto un destino comune. Proprio mentre una parte del tessuto produttivo andava in crisi, riducendo il numero delle aziende e posti di lavoro.
Con la votazione di oggi in Consiglio Regionale è stato, finalmente, approvato l’ampliamento del Parco dei Colli di Bergamo per una superficie totale di oltre 343 ettari nei comuni di Bergamo
Mi fa molto piacere che si torni a parlare dell’ampliamento del Parco dei Colli di Bergamo e ringrazio tantissimo la nostra deputata Leyla Ciagà che prima da assessore a Bergamo si fece promotrice
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“Oggi la maggioranza ha approvato un emendamento che si scaglia letteralmente contro i due siti di Natura 2000 di Valpredina e Misma e di Vanzago gestiti dal WWF” lo annunciano i consiglieri regionali